Scritti – L’esperienza dell’Orchestre National de Jazz

L’esperienza dell’Orchestre National de Jazz

 

di Paolo Damiani

 

 

L’ONJ è stata fondata nel 1986 per volontà del Ministro della Cultura Francese Jack Lang. La considero non soltanto una grande avventura artistica ma anche uno straordinario servizio pubblico, unico nel suo genere in Europa.

Sono stato nominato Direttore artistico e musicale nel 1999 dopo aver superato un Concorso Internazionale. Ho cercato di delineare ed attuare più ampi obiettivi strategici per consentire all’Orchestra di svolgere al meglio la propria missione, in termini di creazione, diffusione, educazione. Credo sia utile indicare alcune iniziali direzioni operative:

 

  • condividere gli impegni compositivi con altri musicisti attraverso un autentico lavoro di équipe;
  • lavorare su temi e progetti in relazione a specifiche aree di ricerca. Il primo anno, con “Charmediterranéen”, abbiamo indagato le relazioni tra le musiche etniche di area mediterranea e il jazz contemporaneo, con la commissione di 4 brani originali creati da Damiani, Jeanneau e dai due invitati Anouar Brahem e Gianluigi Trovesi. Successivamente abbiamo individuato anche temi relativi ai miti, ai labirinti, alla trance, etc.;
  • costituire una commissione artistica (Damiani, Jeanneau, Trovesi, Duverger, Laurent D’Asfeld) e nominare un codirettore musicale nella persona di François Jeanneau, primo direttore dell’ONJ nel 1986;
  • favorire l’incontro della musica con altri linguaggi artistici: la poesia, come nel caso della mia composizione “Charmediterranéen” in cui abbiamo utilizzato testi di R. M. Rilke e l’immagine, grazie all’incontro con il fotografo Roberto Masotti;
  • bandire un Concorso europeo che ha permesso la scoperta di molti giovani di talento (quasi 300 dossier provenienti da tutta Europa e 32 selezionati al termine, di cui 4 ammessi subito nell’Orchestra);
  • affidare l’Orchestra ad altri direttori e compositori, come è avvenuto il 21 giugno 2001 per la festa della Musica. La bella proposta che abbiamo ricevuto da Claude Barthelemy, un’idea di viaggio musicale ai limiti dell’Europa, ci ha trovato del tutto in sintonia e ha testimoniato come l’ONJ sia stata percepita dagli artisti più sensibili come un organismo aperto ai contributi più diversi e pronto a muoversi verso nuove direzioni.

 

I risultati di questa impostazione hanno avuto favorevoli riscontri, non soltanto presso la stampa internazionale (da Le Monde a Down Beat) ma anche con l’ECM, forse la più prestigiosa label discografica del mondo, con la quale è stato registrato il primo disco dell’Orchestra.

Nel settembre 2001 ho elaborato le Linee programmatiche di sviluppo per l’Orchestre National de Jazz (ONJ), inviate allora anche al Sindaco di Roma Walter Veltroni e all’Assessore alle Politiche Culturali Gianni Borgna, nell’eventualità che la costituenda «Casa del jazz» volesse contribuire a creare ed ospitare una “Orchestra nazionale di jazz” e “Musiche d’oggi” (come da relativo progetto). Ecco il testo delle suddette Linee programmatiche di sviluppo.

 

Considero i primi sette mesi di attività come un periodo di assestamento, necessario per creare le premesse di un vero suono d’orchestra, riconoscibile ed equilibrato, originale ed emozionante, dotato comunque di una identità precisa. Perciò ho deciso di lavorare su un ridotto numero di composizioni, onde favorire lo scavo e l’approfondimento collettivo. Per far ciò era necessario delimitare il campo d’azione, creare un quadro, all’interno del quale eliminare lentamente il superfluo. A volte per i musicisti di jazz, togliere, sottrarre, ridurre i tempi dell’assolo può risultare frustrante. Tuttavia, questi limiti autoimposti hanno permesso di creare un suono preciso e un repertorio dotato di una sua identità. Oggi siamo pronti ad accogliere i contributi compositivi di molti solisti dell’ONJ i quali dovranno scrivere nuova musica tenendo conto sia di ciò che già abbiamo elaborato, in termini di suono, spazi individuali, soluzioni timbriche, sia del tema futuro, concernente i miti, i labirinti e la trance.

Darsi un tema è prassi anomala nel jazz e tuttavia sono convinto che si tratti di una modalità che può aiutare questa musica a trovare nuovi limiti e a interrogarsi sul proprio senso. Gli improvvisatori hanno in genere la tendenza ad accumulare idee e materiali, più sono abili e più questa operazione risulta facile ma il vero salto di qualità è, a mio avviso, imparare a togliere nell’ascolto di sé e degli altri, improvvisare e comporre vuol dire scegliere, cioè eliminare e perdere.

Naturalmente spero che i diversi contributi compositivi ci aiutino a trovare soluzioni nuove, soprattutto se saremo capaci di lavorare insieme, come è avvenuto il 17 aprile 2001, il giorno prima del concerto di Le Mans, quando la voglia di darsi e di trovare soluzioni interessanti era palpabile, manifesta.

A proposito del tema, va specificato che esso non deve essere interpretato in modo rigido ma soltanto come un vasto campo di ricerca che può trovare diverse e originali chiavi di lettura, armonizzando tendenze per fortuna diverse: c’è chi ha un approccio più compositivo e chi preferisce improvvisare sistematicamente, chi privilegia l’istante ma fatica a dominare ciò che produce e chi tende a organizzare troppo …

In questo consiste la vera affascinante sfida: costruire insieme un “luogo” ove ognuno si senta a casa propria, accolto e stimato ma libero di viaggiare prefigurando inedite direzioni da sperimentare. Il che vuol dire evolvere insieme e inventare nuovi parametri in relazione alle diverse proposte compositive provenienti da uno o più musicisti.

 

2. La commissione artistica dovrà riunirsi più spesso per discutere diversi aspetti della vita dell’orchestra, come ad esempio:

  • Analisi di progetti che potrebbero essere sottoposti all’ONJ da artisti esterni o da istituzioni varie.
  • Discussione di proposte provenienti dai membri stessi della commissione o dai singoli musicisti.
  • Modalità di sviluppo dell’attività concertistica (commissioni, invitati …) e pedagogica, attraverso prove aperte, concerti-lezione, masterclass.
  • Linee preferenziali nelle attività multimediali, uso di spazi diversi nel coinvolgimento di pubblici nuovi di ogni fascia di età.

 

3. Relativamente alle attività multimediali, è importante poter accentuare all’interno dell’orchestra la dimensione del laboratorio affinché certe scelte vengano discusse e condivise, non semplicemente subite. Ad esempio, il rapporto tra musica e testo parlato o cantato meriterebbe un’indagine più approfondita che motivi le scelte.

Perché non immaginare l’incontro con scrittori e poeti anche soltanto durante le prove ? Non c’è bisogno di citare Boulez, Berio o Stefano Benni per riconoscere quanto può essere evoluto il rapporto con la parola e come possa divenire fecondo nella ricerca di nuovi limiti.

 

4. I musicisti selezionati tramite bando di concorso rappresentano un’importante riserva a cui attingere quando occorre sostituire un musicista, e ciò è già avvenuto. Non solo: se il budget lo permettesse, sarebbe possibile immaginare la coesistenza di progetti diversi attraverso un sistema modulare a geometria variabile che peraltro l’orchestra ha già realizzato nella riuscita residenza di Bologna. Alcuni solisti dell’orchestra potrebbero diventare responsabili di singoli progetti o gruppi, anche di piccole dimensioni, da utilizzare poi in contesti diversi (concerti nelle scuole, in luoghi all’aperto o al chiuso di particolare qualità architettonica, spaziale ed acustica, performances inusuali nella durata e nella modalità etc.), formazioni che esplorino universi differenti, dalla solo-performance a eventi che coinvolgano decine di artisti

 

5. Le possibilità di collaborazione con artisti esterni all’orchestra dovrebbero essere incentivate, ad esempio, individuando musicisti significativi e proponendo coproduzioni con istituzioni culturali ad essi collegate (Barry Guy o Django Bates e l’Inghilterra, Han Bennink o Misha Mengelberg e l’Olanda, Mathias Ruegg e l’Austria, Heiner Goebbels e la Germania, Michael Mantler con l’ECM e la radio tedesca, Giorgio Battistelli o Salvatore Sciarrino con la Ricordi e la Radio Italiana, etc.).

È possibile inoltre immaginare un concorso di composizione mondiale dedicato all’ONJ, che poi eseguirà le composizioni migliori e le registrerà su cd.

 

La questione dello spazio

 

Un’autentica attività di laboratorio non può che partire da un luogo fisico ove gli artisti possano incontrarsi e creare.

Per incentivare le attività dell’orchestra sembra perciò indispensabile poter disporre di uno spazio polivalente che consenta non soltanto di provare molto di più in buone condizioni acustiche e con un impianto di amplificazione adeguato ma anche di poter programmare attività diverse.

Tra queste :

  1. concerti con organici vari che inglobino musicisti dell’ONJ con ospiti esterni, non soltanto musicisti di jazz ma anche classici, contemporanei, rock etc.

Auspico inoltre che, attraverso accordi con la Città di Parigi ed altre istituzioni pubbliche e private, i fondi a disposizione dell’Orchestra possano consentire l’allestimento di autentiche tournées all’estero, oggi penalizzate dall’esiguità del budget export.

attività pedagogiche

  • creazione di orchestre di amateurs o miste con professionisti
  • piccoli gruppi, musica d’insieme
  • corsi di teoria, ear training, analisi, ascolti guidati
  • storia del jazz
  • masterclass di strumento
  • laboratori di improvvisazione e di composizione
  • concerti-lezione per le scuole
  • conferenze con musicisti, musicologi, critici, artisti visivi, registi, danzatori, poeti, etc.
  • prove pubbliche, arricchite da dibattiti ed analisi.

 

6. Realizzazione di un video sull’ONJ, in collaborazione con una rete televisiva.

7. Realizzazione di un programma televisivo sulla didattica dell’improvvisazione.

8. Sonorizzazione di spazi particolari che rompano con la centralità e frontalità della fonte sonora rispetto al pubblico; performances, happening, pubblico e artisti in movimento.

C’è qui un’arte della messa in scena che nel caso della performance – penso ad esempio agli Urban sax – diviene messa in scena dell’arte. L’esperienza di questo gruppo, nato in Francia nel 1977 su iniziativa del compositore Gilbert Artman, si fonda su una ricerca acustica e architettonica di mise en éspace urbana. I cinquanta sassofonisti, danzatori e cantanti che compongono Urban sax intervengono in luoghi precisi, spesso all’aperto, con l’intento di modificare la realtà urbana per un certo lasso di tempo con azioni di tipo musicale, visuale, coreografico e con un sapiente uso delle luci.

Alla rigidità del teatro all’italiana si oppone dunque un pensiero nuovo che modella il suono in funzione dello spazio (e viceversa) e di sensi che non sono soltanto l’udito. Fino a soluzioni che prevedono il movimento non soltanto degli artisti ma anche del pubblico, invitato o costretto a guardare, ascoltare, toccare, annusare, muoversi, cantare …

Evidente qui il riferimento a certe pratiche del gruppo americano Fluxus che fin dal 1961 mette in azione modalità diverse di comunicazione, tra poesia, teatro, musica, danza, sempre in bilico tra arte e vita quotidiana: attraverso veri e propri event scores si sperimentano processi che non devono essere giudicati in termini di successo o fallimento ma piuttosto come atti dagli esiti incerti, sconosciuti come l’uscita di un labirinto.

In questo environnement sonore il pubblico scopre nel movimento diverse installazioni sonore create in collaborazione con scultori, registi, videoartisti, pittori e si mescola al tempo stesso con gli artisti: il luogo risuona e non a caso si è parlato di topomusique, la musica del luogo, ove lo spazio e le sue caratteristiche acustiche condizionano fortemente la musica e la sua percezione. Al tempo stesso il suono evidenzia in modo nuovo l’architettura permettendoci quasi di sentire il respiro degli ambienti e la loro vibrazione, in una parola la vita dell’architettura.

9. Ricerca pratico-teorica in collaborazione con le università di Parigi e Bologna ed altre istituzioni (Centre Pompidou, IRCAM etc.) finalizzata alla creazione di video, libri, dischi e concernente il tema “Fusion nella Musica”, comprendente una sezione di studi sulla notazione musicale in rapporto alla composizione a all’improvvisazione.

Lo spartito musicale è stato negli ultimi cinquant’anni teatro di evoluzioni straordinarie sotto il profilo grafico e concettuale. Nella nostra idea di fusion come cambiamento di stato, certi segni ambigui mirano a favorire la pluralità delle interpretazioni, il compositore sceglie così facendo di corresponsabilizzare gli interpreti sul piano della creazione, necessariamente diversa ogni volta. La partitura può assumere le sembianze di un percorso, di un labirinto in cui ritrova spazio la scrittura manuale, meno asettica delle note stampate con il computer, tutte tragicamente uguali.

La partitura diviene scénario, scrittura d’azione, gli esiti artistici sono naturalmente proporzionali alle capacità compositive e improvvisative dei musicisti, chiamati non più a eseguire le note scritte ma anche a interpretare i simboli – spesso del tutto inediti e a volte molto poco trasparenti – nella maniera più efficace e creativa, a prendere iniziative e ad assumersi responsabilità spesso rischiose.

È quanto ho tentato con nulle part, una composizione labirintica che ho scritto per l’ONJ. C’è una “prima visione” che genera charme e inquietudine, un senso di paura e di vertigine. Guardando meglio notiamo simboli tradizionali incastonati in un contesto inusuale e simboli nuovi che non “descrivono” il fenomeno sonoro in quanto tale piuttosto le direzioni da prendere o da evitare. Le differenze tra i simboli devono condurre nell’istante a differenziare la musica, il ruolo del compositore è qui quello del catalizzatore di un processo capace di generare forme ogni volta diverse.

10. Creazione di un archivio ONJ, stampa degli spartiti.

11. In attesa di reperire un teatro polivalente o quanto meno una sala prove che «suoni bene» e che consenta l’incontro con la danza ed altri linguaggi artistici sarebbe utile stringere un accordo di cooperazione con un teatro o con un club parigino che ospiti con cadenza almeno settimanale i piccoli gruppi interni all’ONJ dove verificare con il pubblico i nuovi repertori e sperimentare l’incontro tra musicisti diversi, anche non facenti parte dell’ONJ, ad esempio con i solisti selezionati tramite audizione: potremmo così riascoltarli in un contesto più adeguato e farli entrare nel vasto campo di progettazione che stiamo cercando di attivare.

In sintesi, l’orchestra francese dovrebbe realizzare delle residenze settimanali nei diversi paesi europei, con concerti e masterclass.

I docenti sceglierebbero i migliori tra gli allievi iscritti ai corsi i quali verranno invitati ad una grande audizione europea alla presenza di una giuria internazionale che selezionerà i musicisti dell’Orchestra.

La giuria sarà composta da direttori d’orchestra (Barry Guy, Django Bates, Paolo Damiani, François Jeanneau, Misha Mengelberg etc.), solisti illustri, direttori di festival, musicologi, giornalisti, discografici etc. L’orchestra potrà essere affidata a due direttori-compositori diversi, uno di area jazz ed uno di area contemporanea, nel tentativo di favorire quelle contaminazioni tra generi diversi che sembrano più che mai necessarie per disegnare nuovi limiti di linguaggio e favorire al contempo l’incrocio di pubblici diversi.

«Dès qu’on s’aventure en dehors du reconnaissable et du rassurant, dès qu’il faut inventer des nouveaux concepts pur des terres inconnues, les méthodes et les morales tombent, et penser devient, suivant une formule de Foucault, un acte périlleux, une violence qu’on exerce d’abord sur soi-même, les objections (…) viennent toujours du rivage, et ce sont comme des bouées qu’on vous lance, mais pour vous assommer …» (Gilles Deleuze).