Scritti – Fare musica a scuola

Fare musica a scuola

 

di Paolo Damiani

 

 

 

La musica in Italia purtroppo non è ancora entrata nel curricolo con la stessa dignità formativa dell’italiano e della matematica.

Ho il piacere di collaborare con il professor Luigi Berlinguer dal 1997, periodo in cui era Ministro dell’allora Pubblica Istruzione. Nominò la cosiddetta Commissione dei Saggi, incaricata di ripensare la scuola italiana «individuando le conoscenze fondamentali su cui basare l’apprendimento dei giovani». È possibile immaginare la mia sorpresa quando ho ricevuto l’invito a far parte di un gruppo ristretto in cui figuravano, tra gli altri, Umberto Eco, Tullio De Mauro, Rita Levi Montalcini, Eugenio Scalfari, Antonio Tabucchi, etc. In relazione alla musica eravamo in tre, Riccardo Muti, Uto Ughi ed io, forse invitato perché all’epoca presiedevo l’A.M.J. (Associazione Nazionale Musicisti di Jazz) o forse perché insegnavo jazz in Conservatorio già da tempo e avevo contribuito a fondare “la madre” di tutte le scuole di musica, quella di Testaccio a Roma.

Far parte della Commissione dei Saggi si è rivelata un’esperienza di straordinario spessore culturale e umano. Che meraviglia sentire Carlo Bernardini raccontare la matematica in modo chiaro, semplice e affascinante! Perché – mi chiedevo – non avevo incontrato un professore così tra i banchi di scuola? Ecco perché la matematica mi è sempre sembrata un incubo. I lavori sono durati pochi mesi ma con Luigi Berlinguer si era instaurato ormai un rapporto di profonda stima che nel tempo è diventata un’amicizia speciale. Luigi è uno degli uomini più intelligenti, colti e ironici che io abbia mai incontrato e conosce la scuola come pochi. Da allora si batte moltissimo per inserire la musica nelle scuole. Oggi lavoriamo insieme nel Comitato Nazionale per l’apprendimento pratico della musica. Nel 1997 sono stati ideati i Laboratori Musicali, realizzati poi nell’anno successivo. La finalità è semplice: la musica deve essere fatta, cantata e suonata da tutti, non solo da chi vuole farne una professione.

Il Laboratorio Musicale dovrebbe consentire un approccio alla musica basato sull’azione: interpretazione vocale e strumentale, interazione tra suono e movimento, composizione, improvvisazione. Dovrebbe essere il luogo in cui rendere possibile il pensiero creativo a partire dalle straordinarie possibilità che il linguaggio musicale offre. Peraltro, come sistema di relazioni, dovrebbe essere fondato su fare, ascoltare e analizzare, non soltanto per capire la musica ma anche per inventarla.

La musica esiste prima della sua scrittura, un atto successivo di formalizzazione dell’idea musicale che nel processo pedagogico può quindi essere affrontata dopo: conoscere la musica significa innanzitutto farla.

In questo fare sarà naturale approfondire contestualmente le abilità strumentali, le tecniche di ascolto, le conoscenze teoriche, le capacità di analisi e di lavoro in gruppo. Il docente coinvolgerà gli allievi nella progettazione musicale organizzando un vero e proprio cantiere nel quale coordinare le risorse dell’apprendimento e allestire percorsi di lavoro e processi fatti di vocalità e uso di strumenti, attività grafiche, gestuali e motorie verso quelle forme di concertazione che costituiscono la sintesi finale di ogni processo di esplorazione – comprensione – apprendimento.

Attraverso l’integrazione della composizione con l’improvvisazione, la pratica della musica d’insieme permette inoltre l’indagine individuale nello spazio acustico, in un progetto d’intenzionalità collettiva che ha lo scopo di creare nuova musica ovvero educare ad un uso creativo del linguaggio musicale. Ecco la conoscenza che nasce dall’azione, da ricerche comuni che mettono in relazione la mente con il corpo, riconoscendo così l’intelligenza del corpo e i suoi percorsi. Il che può voler dire anche riconoscere le valenze cognitive delle emozioni e considerare che «l’apprendimento è un processo interattivo in cui le persone imparano l’una dall’altra, non solo attraverso il narrare e il mostrare. È nella natura delle culture umane formare comunità in cui l’apprendimento è frutto di uno scambio reciproco», come ha scritto Jerome Bruner.

La composizione e l’improvvisazione sono possibilità di creazione musicale che devono essere integrate tra loro: la composizione non è soltanto analisi di forme esistenti ma anche invenzione di nuove ipotesi costruttive e l’improvvisazione è invenzione musicale istantanea basata sulla memoria e sul tempo, è «creazione dell’evento sonoro in tempo reale». Nella didattica musicale l’improvvisazione può essere più o meno orientata, utilizzando parametri codificati o inventati dal gruppo attraverso la selezione di materiali, tecniche e obiettivi. È uno straordinario mezzo di esplorazione e di scoperta che non esclude ma anzi integra la composizione.

«Molti filosofi e musicologi nel nostro secolo hanno evidenziato come nell’atto dell’interpretazione si celi la natura stessa della musica, che è essenzialmente improvvisazione» (Fubini). Più semplicemente, improvvisare significa concepire e suonare musica nell’attimo stesso in cui nasce e si evolve o, per dirla con Miles Davis «significa suonare al di là di ciò che si sa». Vorrei ricordare ciò che tutti sanno e che molti troppo spesso dimenticano: uno dei più grandi improvvisatori della storia della musica si chiamava Bach.

Suonare insieme insegna anche a fare silenzio, un silenzio non imposto come un obbligo ma cercato insieme per creare il suono o per dissolverlo. Ecco, quindi, il rispetto dell’altro e la comprensione delle differenze, dei nomadismi propri e altrui, il mobile progetto di un’immaginazione che evita le convenzioni rassicuranti per creare il nuovo.

Se non c’è invenzione del nuovo, qualunque didattica musicale è destinata al fallimento. A questo proposito, Gregory Bateson ha scritto: «La scienza non prova, esplora … Il mondo della replicazione si contrappone a quello della creatività, dell’arte, dell’apprendimento e dell’evoluzione in cui i processi dinamici del cambiamento si alimentano del casuale, nell’esplorazione e nel cambiamento. Il tentativo di trasmettere valori replicati fallisce perché la trasmissione della cultura è legata all’apprendimento, non al DNA».

Con parole più semplici e non meno efficaci, ecco il pensiero di Giovanni Piazza: «Pedagogicamente, ciò che si scopre è tutto nuovo, ciò che si riceve confezionato è tutto irrimediabilmente vecchio».

Per l’apprendimento di un linguaggio artistico  l’esperienza pratica è del tutto insostituibile, un’esperienza che dovrebbe essere direzionata alla creazione e non alla ripetizione di un patrimonio di segni e suoni che ci è stato tramandato da altri. La creazione sarà tanto più possibile quanto più si saprà provocare l’armonia di elementi diversi – quello sintattico e quello sensuale, quello semeiotico e quello simbolico – consapevoli che quest’ultimo è restio alle definizioni in quanto rinvia alla sfera emozionale dell’espressione artistica e dell’esistenza umana.

«Significato simbolico e significato semeiotico sono cose completamente diverse. […] Ogni concezione che definisce l’espressione simbolica come analogia o come denominazione abbreviata di una cosa nota è semeiotica. Un concezione che definisce l’espressione simbolica come la migliore possibile, e quindi come la formulazione più chiara e caratteristica che si possa enunciare per il momento, di una cosa relativamente sconosciuta, è simbolica» (Jung).

Ed ancora: «… ogni cosa può essere simbolo: tutto dipende dalla qualità dello sguardo che la fantasia promuove, uno sguardo che arresta o uno sguardo che rinvia … operatore di questo rinvio è il simbolo che, abbracciando presenza e assenza, ospita la totalità» (Galimberti).

Nell’attuazione dei programmi di musica svolti finora sono decisamente prevalsi indirizzi storicistici e semiologici che andrebbero armonizzati e integrati con la produzione musicale e con la creazione artistica. Ciò richiederebbe una profonda trasformazione delle metodologie didattiche e dell’apprendimento che dovrebbero privilegiare il fare come forma di conoscenza: imparare facendo è uno dei possibili significati di errando si impara laddove l’errore può voler dire evento trovato a caso in una erranza intesa come andare, libero percorso nomade che promette e permette avventure e scoperte. Purché ci si ricordi di quanto ha detto Claude Debussy: «la musica è fatta per l’inesprimibile, comincia là dove la parola è impotente a esprimere» (cit. in Boucourechliev).

Forse proprio l’eccessivo potere conferito alla parola è una delle principali ragioni delle scarse fortune della musica a scuola. Tuttavia credo che la rinuncia a sfruttare le straordinarie possibilità pedagogiche del suono dipenda principalmente dal fatto che la scuola, nel corso del tempo, ha perso di vista il valore del simbolo rispetto al segno. Se quest’ultimo è l’insieme di significante (l’espressione, l’immagine, l’aspetto fonico) e di significato (l’elemento concettuale) e rinvia a qualcosa di noto, il simbolo «non comprende e non spiega, ma accenna, al di là di se stesso, a un senso ancora trascendente, inconcepibile, oscuramente intuito, che le parole del nostro linguaggio attuale non potrebbero adeguatamente esprimere». (Jung). Il simbolo quindi ha molto a che fare con la creatività, conduce il discorso fuori dal già detto, verso linee di fuga che l’intelletto non controlla e la ragione fatica ad accettare. Ma simbolo e ragione devono coesistere perché, insieme, rappresentano i valori del molteplice rispetto all’unico.

Quando invece tutto è ridotto a segno e quando i docenti si limitano a trasmettere modelli preconfezionati invece di stimolare immaginazione e capacità progettuali, allora la (didattica della) musica si impoverisce e diviene impotente.

La musica è una qualità di linguaggio, ci regala la possibilità di poter esprimere cose che non possiamo dire a parole. Perché allora rinunciare alla grande possibilità che la musica ci regala, quella di poter “dire” cose precluse al linguaggio? Va detto che operare in questa direzione è difficile e faticoso e richiede insegnanti preparati e disposti sempre ad imparare. In questo fare esistono infatti regole, tecniche, obiettivi, intuizioni e materiali ovvero come si fa, perché, con che cosa. Bisogna sapere come muoversi tra ordine e caos, quanto predeterminare e quanto lasciare al caso.

Si deve immaginare una didattica fondata sull’esperienza e sull’invenzione di una narrazione, finalizzata alla costruzione di saperi critici.

Al centro di tutto ci sono l’azione e la percezione degli alunni che creano materia sonora, suoni, ritmi, rumore, silenzio.

È stato scritto a ragione che «La Musica è un mezzo per ascoltare il mondo, per conoscerlo: il mondo non si guarda, si ascolta» (Attali). E ancora che «Ascoltare significa decodificare ciò che è oscuro, confuso o muto. Ascoltare è cercare di sapere ciò che sta per accadere […] ascoltatemi sta per toccatemi, sappiate che esisto» (Barthes).

Jouer, to play, spielen vogliono dire al tempo stesso suonare e giocare, un gioco che insegna molto: l’arte dell’ascolto innanzitutto, presupposto di ogni relazione e di qualunque processo educativo. Nell’ascolto, ciò che conta non è soltanto il contenuto ma anche la fonte sonora, la persona che ci parla, che suona o che ci fa suonare. Ascolto il significante, si potrebbe dire.

Non intendo analizzare le ragioni che hanno spesso mortificato la musica a scuola, certo è che esiste uno scarto profondo tra l’uso quotidiano che della musica fanno i giovani e quanto è finora avvenuto nelle aule sotto il profilo della pedagogia musicale. Credo sia giunto il momento di sintonizzare i processi educativi sul “vissuto” quotidiano degli allievi, non accettando passivamente o demonizzando le regole del consumo musicale imposto dal mercato e dai media semmai stimolando negli alunni il gusto per la scoperta dei linguaggi musicali a partire da «ciò che essi amano già», conducendoli gradualmente verso invenzioni che contribuiscano all’evoluzione del gusto, a un sapere critico.

Una scuola moderna dovrebbe rendere cosciente l’alunno di ciò che consuma e usa spontaneamente e di cui ha soltanto una competenza orale. La lingua musicale di comunicazione usata dai giovani non coincide certo con la grande tradizione colta occidentale che va dal canto gregoriano a Luciano Berio. Si basa invece su materiali semplici e su forme di apprendimento legate all’imitazione e all’oralità – quindi sociali per definizione – che a scuola potrebbero costituire un punto di partenza per promuovere la pratica e l’uso cosciente e critico del linguaggio musicale, nella prospettiva di allargare gli orizzonti degli allievi verso le forme più raffinate delle civiltà musicali scritte e orali di ogni tempo e luogo.

È possibile fare musica a scuola utilizzando la composizione, l’improvvisazione, strumenti musicali di ogni genere e nuove tecnologie e basando la relazione tra docenti e discenti sulla ricerca della creatività, sull’ascolto e sullo stimolo di domande e soluzioni, in modo da sviluppare nuove percezioni di sé, degli altri e dell’ambiente più o meno prossimo.

John Paynter, uno dei massimi esponenti mondiali della didattica del “progetto”, ha scritto: «La creatività dovrebbe costituire il cuore di tutte le attività del curricolo relative all’area socio-affettiva, poiché essa riguarda l’immaginazione, la creazione e l’invenzione, e anche l’interpretazione e l’imitazione personale. Il pensiero creativo richiede una capacità di esprimere preferenze e prendere decisioni più ampia di quanto non accada nelle altre forme del pensiero ed è soprattutto “un modo per giungere alla  conoscenza” attraverso un uso autonomo e innovativo delle idee e dei mezzi espressivi. Perciò gli apprendimenti raggiunti attraverso le attività creative differiscono in modo sostanziale dalla conoscenza e dalle abilità acquisite attraverso un insegnamento basato sulla trasmissione di contenuti prefissati. La musica rappresenta una modalità di percezione diversa, essenzialmente olistica, ed offre agli allievi un’esperienza che essi non potrebbero compiere altrimenti».

La permeabilità dei confini va ricercata in una scuola  che si deve immaginare come una rete di luoghi del sapere e del saper fare dove sia incoraggiato l’uso creativo dei linguaggi parlati, scritti, sonori, gestuali, iconici e in cui si possa insegnare la musica a partire dal suono e dal silenzio. La musica è infatti l’insieme di suoni e di silenzi – più o meno strutturati – che componiamo e improvvisiamo, da soli o insieme agli altri.

Nella musica le parole possono intervenire come testo cantato, divenendo esse stesse suono, il che vale anche per un componimento recitato, se avvolto nel continuum sonoro. C’è differenza tra capire la musica – per questo le parole intorno a essa possono forse bastare – e conoscerla: si tratta di aspetti entrambi indispensabili.

Come intendere l’educazione musicale? Sarà necessario considerare alcuni momenti qualificanti:

 

  1. L’esplorazione e lo sviluppo della voce umana, attraverso lo studio di semplici melodie e l’analisi degli intervalli relativi, nella prospettiva di realizzare in coro facili partiture.

 

  1. La pratica della musica d’insieme, integrando tra loro gruppi anche disomogenei di strumentisti e cantanti in un ambito che consenta a ciascuno di comporre musica e di suonare con gli altri utilizzando anche strumenti auto costruiti. Argomenti di questa sezione potranno essere:

 

  • La composizione musicale come alternanza di suono, rumore, silenzio.
  • Il rapporto tra suono e testo (recitato e cantato).
  • L’organizzazione del materiale per la musica d’insieme, analisi di semplici simboli di uso comune, i modi, le scale, la scrittura.
  • Come concepire un tema musicale, tecniche diverse di armonizzazione.
  • Forme diverse di improvvisazione, memorizzazione di semplici temi e loro variazione.
  • Il blues, la canzone.
  • Le forme aperte, la direzione chironomica, la conduction.
  • La musica e gli altri linguaggi (danza, movimento, poesia, teatro, fotografia, grafica, arredo scenico….).

 

  1. L’ascolto di brani musicali in un arco spazio-temporale che abbracci la musica contemporanea, classica, antica, il jazz e l’improvvisazione, la canzone, il rock e i suoi derivati, la musica etnica. In questa fase sarà possibile raccontare in modo vivo e coinvolgente la storia delle musiche. E l’analisi, la forma, la struttura le dinamiche.

 

  1. Lo studio dello strumento musicale.

 

  1. L’elaborazione di uno spettacolo performance.

 

Gli strumenti musicali devono essere scelti in funzione dell’età degli studenti e dei percorsi formativi, tenendo presente che può essere utilizzata qualunque cosa in grado di produrre suono: la voce, gli strumenti tradizionali, lo strumentario Orff, le percussioni, gli strumenti autocostruiti nonché oggetti di uso quotidiano.

Si dovrebbe lavorare per una scuola in cui cultura significhi sapere e saper fare, una scuola che metta in grado di praticare linguaggi diversi, approfondendo non tanto i programmi quanto gli obiettivi formativi.

È un compito difficile aiutare gli allievi ad acquisire consapevolezza e a trasformare questa in coscienza, responsabilità, identità. Per non essere frainteso sull’importanza della parola, vorrei ricordare ciò che ha scritto Tullio De Mauro che di parole se ne intende: «[…] la parola non vive se non è al servizio di un’esperienza pratica umana complessiva, non solo verbale e cognitiva ma anche operativa e affettiva».

L’esperienza, dunque, produce concetti e immagini, immagini diverse che permettono – nel loro movimento – la nascita di nuove intuizioni che alimentano altre conoscenze. In questa visione della scuola le immagini sono più importanti delle storie e le discipline e i contenuti lo sono meno di come li intendiamo e li usiamo. Schematicamente, possiamo dire che l’apprendimento avviene o attraverso il linguaggio – con un interlocutore o un docente che ci “racconta il mondo” – oppure attraverso esperienze che ci permettono di interagire con il reale. Finora nella scuola ha decisamente prevalso il primo modello, basato sul libro di testo e sulla lezione, a sfavore del secondo.

Ciò che a noi importa è che la scuola aiuti a toccare il mondo, quello reale e quello interiore. Non solo: permetta anche di costruire un mondo, attivando l’impulso alla ricerca e all’azione. Gli alunni devono essere aiutati a trovare il proprio “centro” (espressione tipica dei danzatori!) e la direzione dei propri percorsi, verso la messa a fuoco di un principio di realtà che escluda scelte narcisistiche, esplorando, costruendo, articolando ascolti, conoscenze, pensieri, decisioni. Così si può passare dal ruolo di consumatori a quello di produttori. Immagino una scuola che insegni a credere in se stessi, ad essere fedele a se stessi, a scegliere e a escludere.

È impossibile riassumere in poche righe come viene (ben) organizzato lo studio della musica in Francia: in sintesi è obbligatorio dalla scuola materna fino all’ultimo anno di collège (16 anni). In seguito è facoltativo, con la possibilità di frequentare Licei musicali. L’insegnamento della musica nel collège è sostanzialmente fondato sul piacere musicale condiviso e ricerca l’espressività musicale ponendosi tre obiettivi:

 

  • sviluppare la sensibilità estetica degli allievi;
  • affinare le loro capacità di espressione artistica e d’invenzione, permettendo loro di entrare in confidenza con diversi strumenti e tecniche;
  • individuare progressivi riferimenti culturali a partire dal cantare, ascoltare, suonare e inventare.

 

In Francia le attività musicali sono indicate come prioritarie nel contratto per la scuola fin dal 1994. Con riferimento all’esperienza francese, sarebbe opportuno pensare ad individuare Consiglieri Pedagogici che possano elaborare un progetto vasto e flessibile riferito anche al censimento degli strumenti didattici esistenti (partiture, dischi, video, computer etc.) con una serie di suggerimenti rivolti ai Coordinatori circa il loro utilizzo. Ritengo utile, inoltre, pianificare degli stage nei quali i Consiglieri possano incontrare i Coordinatori per elaborare insieme nuovi sviluppi e confrontare metodologie didattiche e problematiche varie.

La legge francese è interessante: si parla «d’apprentissage de chants extraits de répertoires modernes, en phase aves les preoccupations émotionelles des élèves, création de chansons, chant coral comme lieu d’émotion partagée et d’expression collective». Sono parole di Vincent Maestracci, ispettore generale dell’Educazione Nazionale Francese, musicista e musicologo di vasta cultura nonché responsabile dei programmi di “insegnamenti artistici” nelle scuole francesi. Con Maestracci ho trovato grande comunanza d’intenti su diversi punti concernenti obiettivi, contenuti e metodi.

«L’approccio alla musica – è sempre Maestracci che parla – è vivo e concreto, privilegia la percezione delle proprietà sensoriali ed espressive della musica più che le sue caratteristiche tecniche e formali. Esiste una grande apertura verso le forme della pratica: la riproduzione, l’improvvisazione, la creazione. Gli insegnanti devono avere una solida formazione musicale ma anche generale e pedagogica, utilizzano molto la musica d’insieme strumentale e vocale, l’improvvisazione, la composizione e l’ascolto. L’éducation artistique met en oeuvre des démarches actives qui s’inscrivent dans une relation entre voir, imaginer, entendre, faire, créer, échanger. L’élève prend plaisir à construire, à inventer, et il apprend à aller le plus loin possible dans son expression; la pratique musicale collective, lieu de developpement de la sensibilité artistique et d’émotion partagée, est un des vecteurs de l’education du citoyen et l’objectif éducatif prioritaire».

In Francia sono più di 500 all’anno i concerti tenuti da cori di studenti di collège, migliaia gli studenti che collaborano anche con musicisti professionisti, compositori e interpreti, un’attività documentata da dischi e video che va al di là del semplice concerto: si tratta piuttosto di teatro musicale nel senso ampio del termine, con un lavoro preciso di regia e di disegno luci, all’interno di una dimensione artistica vera e propria.

La scuola si trasforma così in un luogo in cui l’iniziativa artistica e culturale non è fine a se stessa ma orientata all’analisi critica della banalità mediatica e della standardizzazione.

Un cittadino più musicale non soltanto canterà meglio ma saprà scegliere con cura cosa ascoltare, le parole da usare, i luoghi dove abitare e incontrarsi, avrà più fiducia in se stesso e nelle proprie capacità creative e professionali, avrà meno paura dell’altro, di chi ci regala la cosa più preziosa che possiede, la propria differenza. Lavoriamo allora per una scuola ove si confondano felicemente razze, culture, religioni, saperi. E suoni, perché no?

Attenzione! L’altro è non soltanto chi crede in un Dio diverso o appartiene ad un’altra razza, l’altro può anche essere l’artista la cui opera va sostenuta in quanto antidoto alla colonizzazione culturale e alla standardizzazione della produzione audiovisiva, sottoposta a logiche di massima redditività. L’artista critica il presente contribuendo a rendere viva e vigile la società. Cosa aspettiamo a fare entrare gli artisti nelle scuole e a riconoscere alle arti e alla musica in particolare un ruolo fondamentale nella formazione dei singoli e nello sviluppo della coscienza e della creatività?

«In una società sana tutti gli uomini dovrebbero essere in qualche modo artisti, in proporzione alla loro capacità di vivere creativamente» (Mellers).

«La mancanza di una tecnica ortodossa, nel senso occidentale della parola, non implica la mancanza di abilità artistica […] L’arte è un’attività pratica, la musica è una necessità ed una funzione vitale che appartiene a tutti». (Bebey). Le fondamenta dell’esperienza musicale risiedono nella creazione artistica.

Arte e creazione venivano espresse nell’antica Grecia con un’unica parola, techne. L’opera realizzata, infatti, è sempre il risultato di un’azione che implica lavoro ovvero movimento e trasferimento di energia.

Certo è che la nostra scuola ha finora sottovalutato o rimosso ciò che potremmo definire la consapevolezza dell’essere e che Sören Kierkegaard ha così sintetizzato: «la verità esiste per l’individuo solo in quanto egli la traduce in azione» (citato da May).

Credo che l’arte sia un’espressione intenzionale e cosciente che vada stimolata e provocata negli studenti affinché possano accostarsi alla musica, alla danza, alla poesia, alla videoarte, al teatro, alla pittura utilizzando la tecnica dell’imparare facendo. Avvicinarsi alla musica può significare semplicemente ascoltare suoni di provenienza e complessità diversi con l’ausilio di un docente competente in grado di creare interesse e attenzione, passione e voglia di approfondimenti. Al tempo stesso la musica si può fare, cantando insieme e utilizzando semplici strumenti, sia di area colta che autocostruiti.

Questa prassi può essere proposta anche a chi non abbia  mai studiato musica, non utilizzando subito note scritte sul pentagramma ma grafici composti insieme e praticando, a turno, una direzione d’orchestra chironomica, l’arte di dirigere utilizzando un’opportuna gestualità. Le regole musicali sono quelle della composizione classica e contemporanea nonché quelle dell’improvvisazione. Questo lavoro didattico mira a sviluppare la musicalità di ognuno: elemento fondamentale perché promuove l’integrazione tra diverse componenti della personalità, quella percettivo-motoria, quella logico-razionale e quella affettivo-sociale.

L’educazione musicale consiste in un sistema di relazioni tra chi insegna e chi apprende, basato sul fare, ascoltare, analizzare e conoscere musica. L’obiettivo è creare insieme nuovi suoni e silenzi all’interno di un vasto campo di esperienze non circoscrivibile nei limiti di una disciplina, riconducibile semmai a un processo in costante divenire.

Oggi, più che mai, è necessaria una scuola in cui cultura significhi sapere e sapere fare, una scuola che metta in grado di praticare linguaggi diversi. Claudio Magris ha tempo fa definito la cultura come «un orizzonte che precede e dà senso alle cognizioni» spiegando che «non è la materia ma il modo d’intenderla che la rende utile e fruttuosa».

L’esperienza quindi come forma di conoscenza: io conosco l’ansia o il mal di testa se ho questi disturbi, li posso invece capire anche soltanto studiando medicina o curando i miei pazienti.

La musica, insomma, è una malattia che va sperimentata, come ben sanno le scuole inglesi quando parlano di Performing Art.

Ciò che allora dovrebbe interessarci è il processo dell’esplorare, non il suo prodotto, l’affermare che non posso decidere a priori quali tecniche mi serviranno se prima non so dove voglio andare. In realtà «tecniche e scopi creativi crescono assieme e si stimolano reciprocamente» come ha scritto Christopher Small. Per questo è necessario un programma di studi molto flessibile, aperto ed interdisciplinare, qualcosa che si autogeneri sui propri successi e che permetta spostamenti laterali decisi dall’allievo, un programma dai confini volutamente mobili, aperto e permeabile, quasi un viaggio senza destinazione, in cui il piacere risieda nella scoperta di un nuovo territorio.

Così facendo «lo studente lavora nei limiti delle proprie capacità, non di quelle che qualcun altro ritiene che dovrebbe avere. Gli allievi allora non sono più gli oggetti del nostro insegnamento ma gli agenti attivi per i quali il corso è costituito dalle ricerche e il programma di studio dalle esperienze. Sono loro che svolgono la ricerca, anzitutto in sé stessi, reciprocamente e nel mondo che li circonda» precisa Small, aggiungendo: «In tali condizioni il ruolo dell’insegnante si trasforma, sarà più quello di coordinatore delle risorse dell’apprendimento che di fonte di conoscenza, decidendo quando intervenire e quando non intervenire».

È necessario riconoscere le valenze cognitive delle emozioni e che «l’apprendimento è un processo interattivo in cui le persone imparano l’una dall’altra, non solo attraverso il narrare e il mostrare. È nella natura delle culture umane formare comunità in cui l’apprendimento è frutto di uno scambio reciproco» (Bruner).

La scienza e la matematica possono aiutarci nell’insegnare la musica a scuola, nell’esplorarla: in fondo, invece di spiegare scale e accordi come degli oggetti dati una volta per sempre, se ne possono sperimentare le logiche costruttive utilizzando il semitono come unità di misura, senza mai estrapolarli dal dato sonoro.

Quanto ai ritmi, si possono produrre complesse poliritmie senza necessariamente leggerle su partitura ma memorizzando le divisioni.

Una volta condiviso un vocabolario minimo, andrebbe comunque privilegiata la dimensione scientifico-sperimentale del fare musica insieme: in ogni individuo esiste una musicalità, un potenziale espressivo da valorizzare, non si può imparare davvero se non si riesce a inventare. Gli studenti sono attori, non solo spettatori.

È importante partire da repertori che siano «en phases avec les préoccupations émotionnelles des élèves», come già avviene nella scuola francese per rendere cosciente lo studente di ciò che già consuma spontaneamente. Materiali semplici quindi, appresi per imitazione e oralmente, gli spartiti possono apparire in corso d’opera.

L’obiettivo è la creazione di un cantiere fatto di percorsi molteplici di lavoro in cui si esplori e si apprenda, nel piacere della scoperta.

Uno strumento di lavoro insostituibile è la conduction (da conductor = direttore e improvisation). Significa dirigere l’orchestra utilizzando non soltanto la partitura ma anche le tecniche dell’improvvisazione e della direzione chironomica: semplici movimenti delle mani già appresi dai musicisti dell’orchestra e che disegnano nell’aria gli eventi sonori. Ogni studente, in base alla propria esperienza e tecnica, reagirà diversamente ma nella stessa direzione espressa dal gesto, cercando di suonare insieme.

In molti siamo convinti che il possesso di un diploma di Conservatorio non abiliti necessariamente al gravoso compito che attende i docenti i quali potrebbero essere scelti anche tra i non diplomati di Conservatorio purché abbiano maturato esperienze nel campo della pedagogia musicale di accertata qualità.

Attraverso una sperimentazione didattica durata un anno, realizzata con una quinta elementare di Roma, è stata proposta una metodologia operativa che può essere applicata sia nella scuola primaria sia nella secondaria, con gli opportuni correttivi. Sono state realizzate anche alcune partiture. Sono indispensabili un’orchestra formata dall’intera classe o dall’insieme di due o tre classi e un docente, sia esso un musicista o lo stesso insegnante di classe, già in possesso di adeguate metodologie didattiche relative a:

 

  • la direzione chironomia circolare;
  • l’integrazione di composizione ed improvvisazione;
  • gli strumenti musicali;
  • l’uso delle nuove tecnologie e i processi multimediali;
  • l’individuazione delle regole da seguire, dei materiali musicali da utilizzare e degli obiettivi da perseguire;
  • i criteri di selezione di testi preesistenti e le tecniche di componimento di testi originali da cantare e recitare;
  • la scelta e l’invenzione dei simboli da utilizzare;
  • l’elaborazione grafica.

 

La tradizionale notazione musicale non deve essere insegnata aprioristicamente come materia a sé stante ma può essere proposta gradualmente nel momento in cui risulti indispensabile per definire altezze e durate già conosciute. È «un principio basilare dell’alfabetizzazione, principio che i nostri docenti di solfeggio continuano ostinatamente a ignorare ma che è ben conosciuto dagli insegnanti di scuola elementare: la scrittura e la lettura sono la trasformazione grafica di relazioni sonore e concettuali già possedute, per cui se la scrittura musicale viene associata a rapporti melodici e ritmici già presenti nella memoria uditiva, assimilati attraverso analisi uditive, il passaggio è facile e immediato e l’apprendimento è efficace» (Tafuri).

Il lavoro di preparazione si è basato, per alcune  sedute, sul canto e sull’ascolto di semplici materiali in larga parte già conosciuti dai bambini e poi si è sperimentata la composizione di un “concerto in sol”.

Il relativo grafico si legge come una normale partitura  d’orchestra; la classe è stata divisa in due sezioni (A e B), gli “attacchi” venivano dati dal direttore: ogni allievo ha sperimentato a turno questo ruolo, imparando le tecniche della direzione chironomica che è l’arte di dirigere utilizzando un’opportuna gestualità.

Tecniche e simboli sono gli stessi di molta musica contemporanea colta, valga per tutti l’esempio del crescendo, per il quale è stato usato un disegno inventato da Salvatore Sciarrino.

Non sfugge l’importanza di questa parte del lavoro, così ricca di implicazioni creative e ludiche. E’ stata anche realizzata una legenda con una parte riservata ai simboli personali dei bambini da loro stessi inventati e selezionati in base alla maggiore capacità significante.

La composizione finale è stata suonata in pubblico davanti ai genitori. FRATTAgLIe, questo il titolo del brano della durata di circa 30 minuti, è stato eseguito dall’intera classe: alcuni allievi suonavano violino e chitarra, tutti cantavano e usavano percussioni e strumenti autocostruiti. Il titolo gioca su due parole, frattaglie e frattali. La prima è stata ritenuta utile per definire un procedimento compositivo che privilegia la giustapposizione di frammenti, detriti di brani di stile diverso montati in un collage costruito insieme, sperimentando diversi possibili accostamenti, scelte ed esclusioni. “Frattali” invece riguardava un lavoro che la maestra, Clelia Bousquet, svolgeva in classe in altre ore, incentrato sull’estetica del caos e sull’imprevedibile incontro tra scienza, arte e natura. Le immagini dei frattali sono al tempo stesso arte astratta e modello geometrico, e il termine stesso rimanda a fratture, alludendo a una geometria spezzata e irregolare: proprio come la nostra composizione.

Da questo punto di vista il computer rappresenta una svolta epocale; presto la scuola non potrà fare a meno delle nuove tecnologie e di ipertesti multimediali fatti di immagini, grafici, suoni, colori, all’interno dei quali il lettore possa attraversare il testo seguendo i percorsi che preferisce. Ciò lo costringerà ad operare scelte: dove andare? Cosa eliminare? Ma questo è esattamente quello che avviene facendo musica secondo i principi fin qui enunciati. Si può sostenere che il gruppo musicale si comporti in realtà come un ipertesto, che scopre in cammino le proprie direzioni, procedendo con i propri tempi verso la progressiva definizione di una composizione. Nei casi migliori ogni membro del gruppo impara a “programmare” l’intero collettivo, orientandone gli andamenti con i propri suggerimenti.

Le nuove tecnologie – il computer, i sintetizzatori e la tastiera, i sequencers e i campionatori, i video e i cd-rom – permettono inaudite possibilità relative alla manipolazione delle caratteristiche fisiche e timbriche del suono e all’analisi dei suoi parametri, alla composizione di nuovi suoni e di sequenze sovrapponibili e diversamente collocabili nello spazio – il “suono mobile” di Luigi Nono. Ciò si realizza lavorando sulla pulsazione e sul ritmo, per diminuzione o dilatazione, nell’elaborazione di forme via via più complesse. Notevoli sono poi le possibilità grafiche del computer che permette di proiettare su grande schermo intere partiture o singole parti, visualizzandone la struttura e consentendone l’ascolto in tempo reale.

Il computer può diventare un eccellente mezzo creativo usato, per esempio, come uno strumento musicale in grado di comporre, ordinare materiale, “eseguire” complesse partiture. Non solo, l’insieme di computer, tastiere, interfaccia MIDI e campionatore, è in grado di produrre sequenze musicali molto articolate, con procedure che ormai molti giovani ben padroneggiano e utilizzano nelle loro attività musicali extrascolastiche.

Il computer si presta ad utilizzi diversi: il più semplice, relativo alla consultazione, permette per esempio l’ascolto di diversi timbri strumentali e delle composizioni (che contestualmente possono essere analizzate sulla partitura); su un altro piano possiamo utilizzarlo come un generatore di musica, analizzando il suono ed elaborandolo. Ciò permette lo sviluppo delle capacità di composizione e di esecuzione, nonché di quelle di ascolto e di analisi.

Il computer è comunque un mezzo che dovrà  necessariamente essere integrato con gli strumenti musicali tradizionali. Questa interazione ha prodotto alcune tra le opere musicali più rilevanti del nostro tempo (“Il Prometeo” di Luigi Nono, “Répons” di Pierre Boulez etc.). In questi casi, alla tradizionale orchestra è stato affiancato il cosiddetto live electronics ovvero il mezzo elettronico che in tempo reale «favorisce risposte immediate alle sollecitazioni del musicista-esecutore, consentendo di agire dal vivo sul suono» (Tamburini).

Esperimenti analoghi potrebbero essere realizzati nelle  aule di musica che dovrebbero, in questo caso, essere dotate di una strutturazione idonea: un personal computer, una tastiera di controllo, un’interfaccia MIDI, una scheda musicale o un modulo sonoro, uno o più software didattici.

Questa strumentazione permette allo studente di:

 

  • ascoltare un brano musicale e le singole voci che lo compongono;
  • visualizzare lo spartito sul monitor del personal computer mentre si suona;
  • analizzare spartiti che possono anche essere modificati;
  • estrapolare dalla partitura le singole parti e stamparle;
  • suonare con una base orchestrale o registrare una parte, per esempio la parte di una delle due mani in un brano pianistico, suonando l’altra;
  • inventare nuovi suoni, non limitandosi a imitare solamente quelli degli strumenti più tradizionali.

 

La produzione di sonorità inedite può ampliare notevolmente i confini timbrici della musica e i percorsi di ricerca. In ogni caso resta basilare il rapporto fisico con lo strumento musicale, la vibrazione del legno e del metallo che generano il suono e la sua poesia.

I nuovi strumenti saranno utili sia per la formazione dei docenti che nella didattica, soprattutto se verranno considerati non tanto come contenitori di informazioni quanto veri e propri strumenti musicali.

Il quadro delineato appare per definizione multimediale, vista la quantità di mezzi impiegati (suono, gesto, tecniche grafiche miste, nuove tecnologie, uso della voce, uso di testi e poesie, cioè parola cantata o detta). In questo operare costruiamo in definitiva regole mobili che permettono a scuola e linguaggio di crescere insieme, seguendo l’identico destino di vivere ed evolvere come una elaborazione collettiva, essendo entrambi fenomeni sociali.