Scritti – Musica e scienza non provano, esplorano

MUSICA E SCIENZA NON PROVANO, ESPLORANO

 

di Paolo Damiani

 

Sappiamo che la musica ha molto a che fare con i numeri, ma che la sua sostanza è altrove: il suono, soprattutto, che non è solo frequenza, ma anche  matericità, e ciò spiega il piacere che ognuno prova nell’ascolto, anche se non conosce Pitagora e i suoi teoremi. Ha senso cercare di giustificare il piacere dell’ascolto (per non parlare di quello, estremo, che si prova facendo musica, suonando uno strumento con altri o cantando in un coro) “dimostrando” che la musica si basa su rigorose leggi matematiche?

Dal mio punto di vista, quello di un musicista che compone sulla carta pentagrammata e improvvisa suonando, la questione diventa: come intervengono le metodologie scientifiche nei processi artistici? Si può fare (parlare d’)arte con gli strumenti della scienza?

Nelle esperienze musicali “… esistono elementi che partecipino alla condizione della scientificità? L’ambito nel quale ciò può darsi come verificabile sembra essere quello di un’estetica sperimentale (assumere il valore estetico di una condotta sperimentale)” (Agostino Di Scipio).

Le questioni delle ricerche e dei metodi, abituali nella scienza, orientano l’opera dei musicisti? Nulla so delle relazioni tra musica e cervello: ma concordo con Oliver Sacks, quando afferma che la musica attiva il rilascio di sostanze chimiche nel cervello, in grado di influire sull’umore e su emozioni e ricordi da tempo perduti.

E condivido il pensiero di Michel Imberty, quel suo considerare la musica “scrittura del tempo”, ove la memoria gioca un ruolo decisivo, sia nell’ascolto che nella pratica musicale.

L’immaginazione poi, necessaria per comporre e per improvvisare, è un altro elemento fondamentale, per non parlare del ruolo dell’inconscio, che a me pare la mente, laddove il cervello è il braccio.

Risulta già da queste premesse come, per andare in profondità, servano strumenti cognitivi relativi a molte discipline diverse.

Ma innanzitutto: di quale musica stiamo parlando? Credo che ogni ricerca non possa che partire da una premessa, ben sintetizzata dal musicologo inglese John Blacking: “tutta la musica è musica popolare, nel senso che non può essere trasmessa o avere un significato al di fuori dei rapporti sociali. Le distinzioni fra la complessità di superficie di differenti stili e tecniche musicali non ci dicono niente di utile sulle intenzioni e le effettive potenzialità espressive della musica o sull’organizzazione intellettuale che la sua creazione richiede. La musica è troppo profondamente legata ai sentimenti e alle esperienze dell’uomo in quanto essere sociale, e le sue strutture sono troppo spesso  il frutto di sorprendenti esplosioni di inconscia attività celebrale, perché essa possa essere soggetta a regole arbitrarie , come quelle dei giochi. Il fondamento di molti, se non di tutti, i processi essenziali della musica va ricercato nel corpo umano e nei sistemi di interazione sociale dei corpi umani. Perciò tutta la musica è, sia strutturalmente che funzionalmente, musica popolare. I produttori di musica colta non sono per natura più sensibili o più capaci dei musicisti popolari: le strutture della loro musica sono semplicemente la conseguenza, rispetto ad analoghi processi nelle musiche popolari, di sistemi d’interazione sociale quantitativamente più rilevanti, di una più articolata divisione del lavoro e dell’accumularsi di una tradizione tecnologica.

Certamente, la scrittura e l’invenzione della notazione musicale sono fattori importanti per la creazione di strutture musicali più complesse, ma esprimono solo differenze di grado e non le differenze qualitative che sembrano implicite nella distinzione fra musica d’arte e musica popolare”.

Ecco, la notazione musicale: esistono partiture e leggi matematiche: entrambi però rappresentano delle condizioni, degli strumenti, non sono certo la musica!

La quale comunque deve molto a una delle più antiche leggi fisiche scoperte dall’umanità, quella per cui i rapporti di lunghezza di una corda tesa sono inversamente proporzionali ai rapporti di frequenza dei suoni prodotti: 1/2 per l’ottava, 2/3 per la quinta… Da allora … “ i Pitagorici si servirono della musica come paradigma dell’esistenza, dall’anima al cosmo” (Jean Molino).

E poi, nel tempo, fondamentali gli studi di Keplero, di Zarlino e di Rameau (“La musica è una scienza fisico-matematica”), Leibnitz (“La musica è un esercizio inconscio di matematica, nel quale lo spirito non si rende conto di contare”, 1712), riformulato da Schopenauer nel celebre “la musica è un esercizio inconscio di metafisica, in cui la mente non si accorge di filosofeggiare”.

Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti, la tecnologia permette di sostituire il concetto di sviluppo con quello di processo, arrivando perfino a trasformare in musica i rumori delle stelle, come fa  Gérard Grisey che riveste di percussioni i suoni provenienti dagli astri, nel suo brano “Le noir de l’Etoile” (1991).

In molte tecniche compositive il ricorso ai numeri è programmatico, basti pensare alla sezione aurea – già fondamentale nell’architettura della Grecia antica e in Le Corbusier – e alla serie di Fibonacci, in cui ogni numero è la somma dei due precedenti – 0,1,1,2,3,5,8,13,21, etc (ad esempio : l’imitazione di una voce strumentale rispetto a un’altra parte dopo 21 battute, un’altra dopo 13, la terza dopo 8 …) fino agli studi basati sulla divisione dell’ottava in 3 o 4 parti uguali, come nell’opera di Coltrane o Shorter.

Come non citare poi la dodecafonia, tecnica compositiva in cui le 12 note in cui si è convenuto arbitrariamente di dividere l’ottava in parti uguali, vengono trattate come serie, in cui ogni suono abbia la medesima importanza? Da questo assioma derivano le tecniche della musica seriale e le forme della serie (originale, retrogrado, inverso e retrogrado dell’inverso). Fino a Messiaen e ai ritmi non retrogradabili….

In realtà la musica è un’arte della costruzione e certe combinazioni contrappuntistiche, il canone, la serialità sono nate dalla natura stessa della materia sonora, a partire dalla quale si sono evolute regole di composizione.

Personalmente tengo sempre presente la lezione di Luigi Pareyson e la sua Forma Formante, formare inventando il modo di fare, scoprire le proprie regole. “Formare vuol dire fare, inventando il modo in cui il da farsi si lascia fare”.

Ed è proprio la nozione di formatività, declinata secondo originali coordinate mediologiche e con l’apporto dei più recenti sviluppi delle scienze cognitive, che ci conduce agli straordinari sviluppi euristici inerenti alla nozione di “principio audiotattile”, recentemente teorizzata da Vincenzo Caporaletti nel quadro della sua “Teoria delle musiche audiotattili”. Questo approccio teoretico segna una delle più stimolanti sintesi di musicologia, antropologia, estetica e scienze cognitive nell’orizzonte di riflessione contemporaneo ­­– in particolare attraverso le implementazioni epistemologiche connesse alla scoperta dei cosiddetti “neuroni mirror” –, ed ha rivoluzionato il nostro modo di percepire e categorizzare, tra l’altro, proprio quelle musiche “popolari” cui si riferiva Blacking nel passo citato in precedenza.

 

En passant, ricordiamo che musiche di altre culture dividono l’ottava ad esempio in venticinque intervalli, per di più diseguali in quanto a frequenza: suoni che al nostro orecchio occidentale appaiono stonati, come del resto i microtoni della musica etnica del mezzogiorno d’Italia, basti pensare alle launeddas sarde.

Dalle ricerche di Schönberg e compagni, la musica si è avventurata in regioni impervie, quelle sbrigativamente etichettate come “Musica Contemporanea”, come se John Zorn o Mario Brunello fossero artisti di un altro tempo!

In questo ambito, ormai da oltre mezzo secolo, la musica è divenuta soprattutto arte del timbro, le ricerche avviate da Berio e Maderna, le straordinarie esperienze informatiche dell’Ircam di Parigi e di Boulez, hanno prodotto nuovi linguaggi in cui la componente logico-matematica è preponderante, la rinuncia alla melodia in senso tradizionale valorizza piuttosto la matericità dei suoni e il loro divenire, trasformarsi.

“Emerge il concetto di sfondo-forma in quanto spazio acustico liberamente modellabile, ma anch’esso fondato sul gioco delle tensioni e sulle loro interferenze che tendono a stabilire un nuovo funzionalismo costruttivo. Il materiale sonoro va dal puntillismo più denso alla fusione continua più fluida,…  si integrano differenti velocità di svolgimento… né formula, né tema, né serie ma campi interni di forze che devono attualizzarsi negli spazi-tempi all’interno dell’opera” (Ivanka Stoianova).

Dominano nuove simmetrie, o la loro assenza, come nelle partiture di Ligeti, Earl Brown, Bussotti o Stockhausen che fin dal 1960 individuò diversi tipi di grafie:

  • scrittura di AZIONE (descrizione delle azioni da compiere per produrre suono)
  • scrittura di PROGETTO – progetto cifrato che può essere autonomo (non vincolato alla realizzazione)
  • musica solo da leggere (grafismi, ideogrammi), legata alla percezione visiva
  • musica solo da udire (pratiche di improvvisazione)
  • gradi intermedi di musica da leggere e da vedere (mixed-media), segno+gesto+suono+visione

 

Esistono partiture molto note che sono state inventate così: “December 52” di Brown, ricorda certe opere di Mondrian, un foglio bianco sul quale sono disegnate linee e rettangoli neri, di diverse misure.

Non esistono due figure uguali, né due identici spazi vuoti. Sembra una pianta (sezione della casa vista dall’alto) di Mies Van Der Rohe. Ogni “evento” è individualizzato senza relazioni con il contesto e tuttavia ha un proprio peso.

Come si esegue uno spartito così? (Ruolo dell’interprete-compositore). Brown dà solo un’indicazione: “la partitura è l’immagine di uno spazio che deve essere percepito come irreale e transitorio, nell’istante. L’esecutore deve metterla in movimento e entrare in essa. Oppure stare fermo e lasciarla muovere, o spostarsi attraverso essa molto velocemente”.

Per Brown, i riferimenti sono stati Jackson Pollock, Alexander Calder (anni ’30) e i suoi “Mobiles”, la mobilità della musica.

Importante è anche “Cartridge Music” (1960) di John Cage, lavoro di 20 fogli con varie forme disegnate e 3 fogli trasparenti, uno con dei punti, un altro con dei cerchi, il terzo con una linea tratteggiata.

Attraverso un lavoro di combinazione, sovrapposizione e intersezione delle diverse figure, si invitano i musicisti a stabilire un programma di AZIONI.

Si tratta di campi di forze infinitamente estensibili, lo spartito diventa un “quadro” e uno scenario per l’azione.

Ecco la nozione di DENSITA’, DI MATERIA SONORA, DI GRUMO, un linguaggio comune tra visuale e uditivo. Potremmo definire la densità come un parametro aritmetico che individua il numero di eventi visuali o uditivi, che si producono in uno spazio. Densità di tempo (1 secondo, la musica) e di spazio (1 cm, il visivo).

Questione delle PROPORZIONI. Densità uguali o variabili, le dinamiche, AUMENTAZIONE o DIMINUZIONE. E penso a certe performances con quadri o diapositive in cui le strutture musicali creano parallelismi con le immagini. O contrasti, contraddizioni: una dialettica.

Potremmo ipotizzare corrispondenze “fisse” tra un colore (del quadro) e un timbro (del suono)? Forse no, ma possiamo immaginare simboli grafici che diventano gesti pittorici, e musicali.

 

C’è poi la questione degli spazi per la musica, dell’architettura che risuona,  data l’inadeguatezza del teatro all’italiana per le nuove musiche.

Edgar Varèse fu tra i primi, fin dagli anni ’20, a riconoscere un ruolo attivo alla dimensione dello spazio e alle sue qualità acustiche.

Da questo  punto di vista, la musica elettronica ha pemesso grandi conquiste, basti pensare a Varèse, Poème électronique (1958): 300 altoparlanti dentro le superfici mobili del padiglione progettato da Le Courbusier e Xenakis, per l’esposizione universale di Bruxelles.

Ma vanno almeno citate anche l’arca di Renzo Piano per il Prometeo di Nono (1984), o Xenakis che quando pensa a una spirale, dispone i musicisti in cerchio e poi lavora sulle densità e sulle velocità, per dare l’idea di qualcosa che gira e va verso il centro.

L’architetto compositore greco è stato il primo ad elaborare con i suoni le teorie matematiche della probabilità, inventando quella che ha definito musica Stocastica e creando poi il CEMAMU (centre de mathematiques musicales), ove ha utilizzato sistematicamente il computer, con programmi di composizione automatica, l’uso di permutazioni etc.

Accenniamo qui soltanto al ruolo della simmetria, che è uno degli elementi fondanti dell’analisi scientifica, e che ha risonanze in quella musicale. Nelle scienze la simmetria aiuta a semplificare e a classificare. Così in musica proporzioni e simmetrie possono rappresentare strumenti del comporre, nel senso proprio di architettare la musica. Con un elemento in più: la musica integra elementi di simmetria (ripetizioni, durate, progressioni, patterns, etc.) con una componente asimmetrica per definizione, lo svolgimento temporale. In questa dialettica forse consiste l’unicità dell’esperienza musicale.

Comunque, anche le analisi musicologiche più raffinate non possono dar conto dell’aspetto sensoriale ed emozionale della musica, la partitura non è tutto, la musica è fatta per i musicisti e per essere ascoltata. L’analisi “scientifica” oggi fa i conti con molte altre discipline che si interessano di musica, la linguistica, la psicologia sperimentale, la neuropsicologia, la filosofia, l’antropologia…Nel tentativo di superare la contrapposizione tra scienze esatte, che studiano  la musica fuori contesto e scienze umane,  che studiano la musica in contesto.

Sia come sia, non si può confondere l’evidenza che i numeri possano esprimere dei fenomeni, con l’idea che essi rappresentino il principio di funzionamento di un’opera: un suono non può essere ridotto a numero!

Ecco che ne pensa Jean Molino: “Non può esistere una scienza della musica, nel senso di una disciplina unitaria, verificabile sperimentalmente, come la meccanica o la termodinamica…. Il sapere scientifico ha strutture indefinitamente ramificate….

Anche l’analisi musicale, che fra le varie discipline della musica, è quella che ha maggiormente rivendicato il suo diritto alla scientificità,… appare nel migliore dei casi una strategia d’approccio all’opera, fra le tante possibili, atte a svelare qualche elemento della partitura, ma basandosi spesso su scelte arbitrarie e intuitive…. La partitura non è che un aspetto parziale dell’oggetto, che resta il suono prodotto e ascoltato.

L’analisi pura è miope, non vede che la musica è stata prodotta da un musicista ed è fatta per essere ascoltata. L’analisi “impura” concilia interno e esterno, il poetico e l’estesico….

La musica è un gioco di costruzioni, e i musicisti faranno sempre riferimento a scienze diverse per scoprire sempre nuovi modelli costruttivi: ma sapranno servirsene per farne della buona musica?”

 

Considerazioni del tutto condivisibili, e ancora più valide se ci riferiamo all’universo delle musiche improvvisate, ove la partitura esprime un campo di possibilità da interpretare in modo sempre differente, da espandere, da violare, da contraddire, fino all’assenza totale della partitura stessa. L’analisi di quelle che con Vincenzo Caporaletti definiamo “musiche audiotattili”, allora si baserà non solo sulla partitura ma soprattutto sulla registrazione del flusso sonoro, da considerarsi il vero  e proprio “testo” da analizzare. Con strumenti che devono comprendere anche aspetti psicologici, emozionali, affettivi, nell’indagine di quello che Michel Imberty ha definito “il tempo del corpo e degli affetti…. Questo flusso sonoro, l’avvenimento, è rottura e legame al tempo stesso: rottura perché rimanda agli avvenimenti che lo precedono, legame perché permette di articolare questo passato al futuro che dischiude nelle sue conseguenze, più o meno prevedibili”.

 

Per quanto riguarda gli aspetti relativi alla pedagogia musicale, la scienza e la matematica possono aiutarci nell’insegnare la musica a scuola, nell’esplorarla: in fondo invece di spiegare scale e accordi come degli oggetti dati una volta per sempre, se ne possono sperimentare le logiche costruttive utilizzando il semitono come unità di misura, senza mai estrapolarli dal dato sonoro.

Quanto ai ritmi, si possono produrre complesse poliritmie senza necessariamente leggerle su partitura ma memorizzando le divisioni.

Una volta condiviso un vocabolario minimo, andrebbe comunque privilegiata la dimensione scientifico-sperimentale del fare musica insieme: in ogni individuo esiste una musicalità, un potenziale espressivo da valorizzare, non si può imparare davvero se non si riesce a inventare. Gli studenti sono attori, non solo spettatori.

E’ importante partire da repertori che siano “en phases avec les préoccupations émotionnelles des élèves”, come già avviene nella scuola francese per rendere cosciente lo studente di ciò che già consuma spontaneamente. Materiali semplici quindi, appresi per imitazione e oralmente, gli spartiti posso apparire in corso d’opera.

L’obiettivo è la creazione di un cantiere fatto di percorsi molteplici di lavoro in cui si esplori e si apprenda, nel piacere della scoperta.

E’ necessario poi integrare composizione e improvvisazione, valorizzare l’indagine individuale in un progetto d’intenzionalità collettiva,  ascoltando la propria voce e quella degli altri.

Noi siamo certi che se non c’è scoperta, ogni didattica musicale fallisce.

Gregory Bateson, in “Mente e natura”, ha scritto “.. la scienza non prova, esplora. Il mondo della replicazione si contrappone a quello della creatività, dell’arte, in cui i processi del cambiamento si alimentano del casuale (la successione di eventi non prevedibile), nell’esplorazione  e nel cambiamento. Senza il casuale, non possono esservi cose nuove. Il tentativo di trasmettere valori replicati fallisce perché la trasmissione della cultura è legata all’apprendimento, non al DNA”.

Va detto che operare in questa direzione è difficile, faticoso e richiede insegnanti preparati e disposti ad imparare sempre essi stessi. In questo fare esistono infatti regole, tecniche, obiettivi, intuizioni e materiali ovvero come si fa, perché, con che cosa. Bisogna sapere come muoversi tra ordine e caos, quanto predeterminare e quanto lasciare al caso.

E’ percio’ evidente che il coordinatore dovrà avere competenze diverse senza peraltro essere costretto in rigidi programmi o repertori prefissati. Tuttavia sarà necessario che siano presenti alcuni momenti qualificanti; tra essi:

  1. L’esplorazione e lo sviluppo della voce umana, attraverso lo studio di semplici melodie e l’analisi degli intervalli relativi, nella prospettiva di realizzare in coro facili partiture.
  2. La pratica della musica d’insieme, integrando tra loro gruppi anche disomogenei di strumentisti e cantanti in un ambito che consenta a ciascuno di comporre musica e di suonare con gli altri utilizzando anche strumenti auto costruiti. Argomenti di questa sezione potranno essere:
  3. La composizione musicale come alternanza di suono, rumore, silenzio.
  4. Il rapporto tra suono e testo (recitato e cantato).
  5. L’organizzazione del materiale per la musica d’insieme, analisi di semplici simboli di uso comune, i modi, le scale, la scrittura.
  6. Come concepire un tema musicale, tecniche diverse di armonizzazione.
  7. Forme diverse di improvvisazione, memorizzazione di semplici temi e loro variazione.
  8. Il blues, la canzone.
  9. Le forme aperte, la direzione chironomica, la conduction.
  10. La musica e gli altri linguaggi (danza, movimento, poesia, teatro, fotografia, grafica, arredo scenico….).
  11. L’ascolto di brani musicali in un arco che abbracci la musica contemporanea e classica, il jazz e l’improvvisazione, la canzone, il rock e i suoi derivati, la musica etnica. In questa fase sarà possibile raccontare in modo vivo e coinvolgente la storia della musica. E l’analisi, la forma, la struttura le dinamiche.
  12. Lo studio dello strumento musicale (sarebbe a tal fine indispensabile prevedere che il coordinatore possa lavorare con insegnanti di strumento che intervengano almeno una volta alla settimana per dare lezioni individuali o di gruppo).
  13. L’elaborazione di uno spettacolo performance.

 

In conclusione immaginiamo una didattica fondata sull’esperienza e sull’invenzione di una narrazione, finalizzata alla costruzione di saperi critici.

La musica è una qualità di linguaggio, ci regala la possibilità di poter esprimere cose che non possiamo dire a parole .

Al centro di tutto c’è l’azione e la percezione degli alunni, che creano materia sonora, suoni, ritmi, rumore, silenzio.

 

Paolo Damiani